Santo Patrono di Monteparano - si festeggia il 7 agosto
è venerato come il Santo della Provvidenza
Perchè San Gaetano protettore di Monteparano?
Fu l'arcivescovo tarantino Tommaso Caracciolo che per primo introdusse nella sua diocesi il culto per San Gaetano, il santo dei miracoli e della provvidenza.
Ma l'intera comunità monteparanese volle questo santo come suo patrono quando, nel 1655 giunse il flagello della peste che seminò la morte e il terrore in ogni angolo del regno di Napoli.
Tutte le province del regno di Napoli vennero colpite dall'immane calamità, ma come per miracolo Taranto e i paesi vicini, specialmente Monteparano e Lizzano, furono risparmiati.
Le cronache del tempo riferiscono di un evento miracoloso che accadde proprio nel 1656 nella cattedrale di Taranto: in una delle cappelle vi era la preziosa statua di San Gaetano - portata a Taranto dall'arcivescovo Caracciolo - che durante una sacra funzione manifestò sul volto un bubbone, segno della peste che stavasi diffondendo ovunque, ma da quel giorno a Taranto e i paesi limitrofi furono miracolosamente risparmiati da quella triste epidemia.
Da allora, Monteparano ha conservato inalterato il culto per quel santo a cui è dedicata una cappella nella chiesa parrocchiale Maria SS. Dell'Annunziata, la prima a sinistra scendendo dal Capo altare.
La statua che orna la cappella è di recente fattura in quanto quella più antica, fatta fare a Napoli verso la fine del 1600, si ruppe nell'estate del 1929, cadendo durante una processione penitenziale per le campagne del paese, arse da una lunga siccità.
Questo avvenimento, dicevano, fu causa di lunghe penitenze: la gente fece digiuni, in ogni casa si accesero lampini e si recitarono tridui, novene e tredicine in onore di San Gaetano, sia in chiesa che nelle abitazioni, perché si pensava che il santo in qualche modo fosse adirato con i suoi devoti.
Sul posto in cui avvenne il triste episodio, Giuseppe Renna, cittadino monteparanese, volle edificare una colonna devozionale in tufo, con una nicchia in cui fu posto un piccolo quadro con l'immagine del santo. I monteparanesi più anziani ricordano che tutti coloro che vi passavano per andare a lavorare nei campi, si fermavano per deporvi fiori o per chiedere la protezione del santo. E da allora quel posto venne denominato “basciu a San Gaiutanu”.
Ma l'intera comunità monteparanese volle questo santo come suo patrono quando, nel 1655 giunse il flagello della peste che seminò la morte e il terrore in ogni angolo del regno di Napoli.
Tutte le province del regno di Napoli vennero colpite dall'immane calamità, ma come per miracolo Taranto e i paesi vicini, specialmente Monteparano e Lizzano, furono risparmiati.
Le cronache del tempo riferiscono di un evento miracoloso che accadde proprio nel 1656 nella cattedrale di Taranto: in una delle cappelle vi era la preziosa statua di San Gaetano - portata a Taranto dall'arcivescovo Caracciolo - che durante una sacra funzione manifestò sul volto un bubbone, segno della peste che stavasi diffondendo ovunque, ma da quel giorno a Taranto e i paesi limitrofi furono miracolosamente risparmiati da quella triste epidemia.
Da allora, Monteparano ha conservato inalterato il culto per quel santo a cui è dedicata una cappella nella chiesa parrocchiale Maria SS. Dell'Annunziata, la prima a sinistra scendendo dal Capo altare.
La statua che orna la cappella è di recente fattura in quanto quella più antica, fatta fare a Napoli verso la fine del 1600, si ruppe nell'estate del 1929, cadendo durante una processione penitenziale per le campagne del paese, arse da una lunga siccità.
Colonnina votiva dedicata a S. Gaetano |
Sul posto in cui avvenne il triste episodio, Giuseppe Renna, cittadino monteparanese, volle edificare una colonna devozionale in tufo, con una nicchia in cui fu posto un piccolo quadro con l'immagine del santo. I monteparanesi più anziani ricordano che tutti coloro che vi passavano per andare a lavorare nei campi, si fermavano per deporvi fiori o per chiedere la protezione del santo. E da allora quel posto venne denominato “basciu a San Gaiutanu”.
(Tratto da "Monteparano - antico casale albanese" di Vincenza Musardo, Piero Lacaita Editore)
Altare di S. Gaetano in chiesa |
Laureatosi a Padova in materie giuridiche a soli 24 anni, si dedicò allo stato ecclesiastico, senza però farsi ordinare sacerdote, perché non si sentiva degno; fondando nel contempo nella tenuta di famiglia a Rampazzo, una chiesa dedicata a S. Maria Maddalena, che è ancora oggi la parrocchia del luogo.
Trasferitosi a Roma nel 1506, divenne subito segretario particolare di papa Giulio II, ed ebbe l’incarico di scrittore delle lettere pontificie, ufficio questo che gli diede l’opportunità di conoscere e collaborare con tante persone importanti.
Siamo nel periodo dello splendore rinascimentale, che vede concentrati a Roma grandi artisti, intenti a realizzare quanto di più bello l’arte era in grado di offrire, e che ancora oggi il Vaticano e Roma offrono all’ammirazione del mondo; nel contempo però la vita morale della curia papale, del popolo e del clero, a Roma come altrove, non brillava certo per santità di costumi.
Gaetano non si lasciò abbagliare dallo splendore della corte pontificia, né si scoraggiò per la miseria morale che vedeva; egli ripeteva: “Roma un tempo santa, ora è una Babilonia”; invece di fuggire e ritirarsi in un eremo, da uomo intelligente e concreto, passò all’azione riformatrice, cominciando da sé stesso; incoraggiato da una suora agostiniana bresciana Laura Mignani, che godeva di fama di santità.
Prese ad assistere gli ammalati dell’ospedale di San Giacomo, si iscrisse all’Oratorio del Divino Amore, associazione che si riprometteva di riformare la Chiesa partendo dalla base, il tutto alternandolo con il lavoro in Curia; anche in queste attività conobbe altre personalità, che avevano lo stesso ideale riformista.
Nel settembre 1516 a 36 anni, accettò di essere ordinato sacerdote, ma solo a Natale di quell’anno, volle celebrare la prima Messa nella Basilica di S. Maria Maggiore. In una lettera scritta a suor Laura Mignani a cui era legato da filiale devozione, Gaetano confidò che durante la celebrazione della Messa, gli apparve la Madonna che gli depose tra le braccia il Bambino Gesù; per questo egli è raffigurato nell’arte e nelle immagini devozionali con Gesù Bambino tra le braccia.
Ritornato nel Veneto, nel 1520 fondò alla Giudecca in Venezia l’Ospedale degli Incurabili. Instancabile nel suo ardore di apostolato e di aiuto verso gli altri, ritornò a Roma e nel 1523 insieme ad altri tre compagni: Bonifacio Colli, Paolo Consiglieri, Giampiero Carafa (vescovo di Chieti, diventerà poi papa con il nome di Paolo IV), chiese ed ottenne dal papa Clemente VII, l’autorizzazione a fondare la “Congregazione dei Chierici Regolari” detti poi Teatini, con il compito specifico della vita in comune e al servizio di Dio verso gli altri fratelli.
Il nome Teatini deriva dall’antico nome di Chieti (Teate), di cui uno dei fondatori il Carafa, ne era vescovo. L’ispirazione che egli sentiva impellente, era di formare e donare alla Chiesa sacerdoti che vivessero la primitiva norma della vita apostolica, perciò non ebbe fretta a stendere una Regola, perché questa doveva essere il santo Vangelo, letto e meditato ogni mese, per potersi specchiare in esso.
Le costituzioni dell’Ordine furono infatti emanate solo nel 1604. I suoi chierici non devono possedere niente e non possono neanche chiedere l’elemosina, devono accontentarsi di ciò che i fedeli spontaneamente offrono e di quanto la Provvidenza manda ai suoi figli; con le parole di Gesù sempre presenti: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.
Nel 1527 avvenne il feroce ‘Sacco di Roma’ da parte dei mercenari Lanzichenecchi, il papa Clemente VII della famiglia fiorentina de’ Medici, fu costretto a rifugiarsi in Castel S. Angelo difeso dal Corpo delle Guardie Svizzere, che subì pesanti perdite negli scontri.
Anche s. Gaetano da Thiene, come tanti altri religiosi, fu seviziato dai Lanzichenecchi e imprigionato nella Torre dell’Orologio in Vaticano; riuscito a liberarsi si rifugiò a Venezia con i compagni dell’Istituzione.
Rimase nel Veneto fino al 1531, fondando, assistendo e consolidando tutte le Case del nuovo Ordine con le annesse opere assistenziali; accolse l’invito del celebre tipografo veneziano Paganino Paganini, affinché i Padri Teatini si istruissero nella nuova e rivoluzionaria arte della stampa tipografica, inventata nel 1438 dal tedesco Giovanni Gutenberg.
Nel 1533 per volere del papa Clemente VII, si trasferì insieme al suo collaboratore il beato Giovanni Marinoni, nel Vicereame di Napoli, stabilendosi prima all’Ospedale degli Incurabili, fondato in quel tempo dalla nobile spagnola Maria Lorenza Longo, insieme ad un convento di suore di clausura, dette ‘le Trentatrè’, istituzioni ancora oggi felicemente funzionanti; e poi nella Basilica di S. Paolo Maggiore posta nel cuore del centro storico di Napoli, nella città greco-romana.
La sua attività multiforme si esplicherà a Napoli fino alla morte; fondò ospizi per anziani, potenziò l’Ospedale degli Incurabili, fondò i Monti di Pietà, da cui nel 1539 sorse il Banco di Napoli, il più grande Istituto bancario del Mezzogiorno; suscitò nel popolo la frequenza assidua dei sacramenti, stette loro vicino durante le carestie e le ricorrenti epidemie come il colera, che flagellarono la città in quel periodo, peraltro agitata da sanguinosi tumulti.
Per ironia della sorte, fu proprio il teatino cofondatore Giampiero Carafa, divenuto papa Paolo IV a permettere che nell’Inquisizione, imperante in quei tempi, si usassero metodi diametralmente opposti allo spirito della Congregazione teatina, essenzialmente mite, permissiva, rispettosa delle altre idee.
E quando le autorità civili vollero instaurare nel Viceregno di Napoli, il tribunale dell’Inquisizione, il popolo napoletano (unico a farlo nella storia triste dell’Inquisizione in Europa) si ribellò; la repressione spagnola fu violenta e ben 250 napoletani vennero uccisi, per difendere un principio di libertà.
Gaetano in quel triste momento, fece di tutto per evitare il massacro e quando si accorse che la sua voce non era ascoltata, offrì a Dio la sua vita in cambio della pace; morì a Napoli il 7 agosto 1547 a 66 anni, consumato dagli stenti e preoccupazioni e due mesi dopo la pace ritornò nella città partenopea.
L’opera che più l’aveva assillato nella sua vita, era senza dubbio la riforma della Chiesa, al contrario del contemporaneo Martin Lutero, operò la sua riforma dal basso verso l’alto, formando il clero e dedicandosi all’apostolato fra i poveri, i diseredati e gli ammalati, specie se abbandonati.
A quanti gli facevano notare che i napoletani non potevano essere così generosi negli aiuti, come i ricchi veneziani, rispondeva: “E sia, ma il Dio di Venezia è anche il Dio di Napoli”.
Il popolo napoletano non ha mai dimenticato questo vicentino di Thiene, venuto a donarsi a loro fino a morirne per la stanchezza e gli strapazzi, in un’assistenza senza risparmio e continua. La piazza antistante la Basilica di S. Paolo Maggiore è a lui intitolata, ma la stessa basilica, per secoli sede dell’Ordine, è ormai da tutti chiamata di S. Gaetano; il suo corpo insieme a quello del beato Marinoni, del beato Paolo Burali e altri venerabili teatini è deposto nella cripta monumentale, che ha un accesso diretto sulla piazza, ed è meta di continua devozione del popolo dello storico e popoloso rione.
Nella piazza, come in altre zone di Napoli, vi è una grande statua che lo raffigura; da secoli è stato nominato compatrono di Napoli. Il suo è uno dei nomi più usati da imporre ai figli dei napoletani e di tutta la provincia. Egli venne beatificato il 23 novembre 1624 da papa Urbano VIII e canonizzato il 12 aprile 1671 da papa Clemente X.
San Gaetano da Thiene è la testimonianza di quanto la Chiesa nei secoli, attraverso i suoi figli, sia stata sempre all’avanguardia e con molto anticipo sul potere laico, nel realizzare, inventare e gestire opere di assistenza in tutte le ue formse per il popolo, specie dove c’è sofferenza. Ecco così i Monti di Pietà per giusti prestiti ed elargizioni, l’istituzione degli ospedali, orfanotrofi, ospizi, lebbrosari, ecc. a cui ieri come oggi i governanti più avveduti e non ostili, hanno dato il loro consenso o il prosieguo, anche se a distanza a volte di molto tempo.
(Antonio Borrelli)